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FolleMente: amore e inconscio nella nuova commedia di Genovese

FolleMente: amore e inconscio nella nuova commedia di Genovese

FolleMente è una commedia romantica diretta da Paolo Genovese, uscita nei cinema a Febbraio 2025.

Un uomo, una donna, una cena: la trama è semplice.

Piero è un uomo sulla quarantina, insegnate di filosofia, un matrimonio alle spalle e una figlia. Lara, un po’ più giovane, è una donna creativa ed entusiasta, a tratti naif. Mentre Piero citofona con un mazzo di fiori in mano, Lara è alle prese con il giusto outfit e la giusta illuminazione per un primo appuntamento a casa sua.

Ma quante parti di noi sono coinvolte in un primo appuntamento? E nelle nostre azioni in generale? La mia analista mi diceva sempre che nella stanza di analisi eravamo almeno in quattro: io, lei, il mio inconscio e il suo. Come minimo. La psiche di ognuno di noi è abitata da più inquilini, e non tutti graditissimi.

In questo film sono quattro le parti interiori che vengono messe in scena e vengono rappresentate come veri e propri personaggi che si muovono e dialogano nel mondo interno dei protagonisti. Come inside out aveva analizzato le componenti emotive della psiche, questo film si focalizza su quattro aspetti della personalità di ciascuno dei due protagonisti.

Se da un lato l’interazione esterna tra i due personaggi principali sembra a tratti lenta e faticosa, dall’altro il mondo interno è rappresentato come dinamico, frenetico, indaffarato in un constante lavoro di contrattazione tra le parti, al fine di produrre delle risposte decenti alla situazione esterna. Ogni protagonista, nel film come nella vita, è accompagnato da un’intera squadra di voci interiori che lo guidano, lo frenano, lo spronano o lo confondono, e non tutte in accordo reciproco. Il film ci mostra, in chiave cinematografica, una rappresentazione visiva e narrativa del flusso di pensieri che ognuno di noi vive quotidianamente, soprattutto nei momenti più emotivamente carichi.

Al di là dello specifico sviluppo narrativo, questo film mette in scena proprio il concetto junghiano di “molteplicità della psiche”. Secondo Jung, la psiche umana non può essere infatti considerata un’entità unitaria ed indivisibile, quanto invece una realtà multiforme, abitata sia da elementi consci che da elementi inconsci di natura personale (complessi) o collettiva (archetipi). La psiche, secondo Jung, è quindi una struttura complessa, composta non solo da elementi consapevoli, ma anche da parti inconsce che possono essere dissociate o separate e che possono agire autonomamente rispetto al volere della coscienza. Tradotto: A volte penso di avere opinioni che non condivido (Paul Valery).

Ma non c’è da preoccuparsi, almeno, non troppo. A fronte di questa molteplicità, Jung indica la via del dialogo con tutte queste parti al fine di portarle a coscienza. Il costante lavoro di ampliamento della coscienza è ciò che viene definito “processo di individuazione”. Buon viaggio!

 

Dott.ssa Martina Testa
Psicologa Psicoterapeuta

 

La Sposa Cadavere

La Sposa Cadavere

La Sposa Cadavere è un film di animazione del 2005 diretto da Tim Burton. Ambientato in epoca vittoriana, il film segue la vicenda di un giovane uomo, Victor, e di una giovane donna, Victoria, promessi sposi per volere dei rispettivi genitori. Dopo una fallimentare prova di matrimonio, Victor scappa nella foresta e, recitando i voti nuziali, infila la fede su un ramo. Questo ramo però altro non è che il dito di una sposa, morta assassinata il giorno delle proprie nozze. Dal terreno emerge una bellissima e terrificante sposa cadavere, che lo trascina nel mondo dei morti come suo legittimo sposo. La trama si sviluppa in seguito in una concitata alternanza tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti e si conclude con il matrimonio tra il ragazzo e la sua promessa sposa, alla presenza sia degli abitanti del paese che degli abitanti del mondo dei morti. La sposa cadavere, imprigionata tra il mondo dei vivi e quello dei morti, si dissolve in un turbinio di farfalle.

Una lettura psicologica di questo film è imprescindibile dalla sua origine: questo lungometraggio è infatti ispirato ad una antica fiaba ebraica, che ritroviamo anche successivamente in una versione russa e in una tedesca. Quando incontriamo delle fiabe, e soprattutto quando queste attraversano culture ed epoche differenti, possiamo essere abbastanza sicuri di trovarci di fronte a delle rappresentazioni di processi psichici universali. La storia raccontata in una fiaba è infatti molto di più di una storia personale, quanto piuttosto una possibile storia della psiche che, lontana dalla coscienza, nel corso dei secoli perde non solo i riferimenti culturali, ma anche qualsiasi altro rimando al personale, allo specifico, al contingente, assumendo alla fine la forma più essenziale del processo psichico che la fiaba incarna.

Alla luce di questa premessa, non ci stupirà dunque la forte valenza simbolica di questo film. Ciò che in primis ci colpisce, anche a livello di rappresentazione cromatica, è l’oscillazione del personaggio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti e cioè, a livello simbolico, tra il mondo della coscienza (il mondo di sopra, quello dei vivi) e il mondo dell’inconscio (il mondo sotterraneo, quello dei fantasmi). Perché sì, nella nostra mente esiste molto di più di quello che concretamente vediamo, e sì, l’inconscio è abitato, e anche parecchio. Terrificante, angosciante, incomprensibile, l’inconscio è anche un luogo variopinto, energico e creativo, in grado di muovere la coscienza e la nostra vita secondo percorsi che non sempre capiamo. Nel film questo aspetto è molto chiaro, poiché il mondo infero è effettivamente rappresentato con colori molto accesi, in un clima paradossalmente più vitale rispetto al mondo dei vivi, più opaco, pacato e controllato.

Il matrimonio finale del film sembra essere la sintesi di un processo di integrazione dell’inconscio da parte del protagonista, che gli permette in definitiva di riemergere profondamente cambiato, in grado di unirsi alla sua controparte viva, ma alla presenza e con il benestare anche dei morti. 

Come psicoterapeuti, ci capita molto spesso di basculare tra il mondo della coscienza e quello dell’inconscio, come dei subacquei che si immergono nelle profondità dell’abisso e poi tornano in superficie. E molto spesso la richiesta dell’inizio di un percorso psicologico arriva proprio a seguito dell’apparizione simbolica della sposa cadavere. Quando il mondo dell’inconscio, spesso nella forma di sintomi concreti, si impone e ci vincola nel suo mondo infero, è lì che sentiamo il bisogno di qualcuno che ci accompagni nel nostro viaggio, che ci aiuti ad incontrare i nostri fantasmi e che ci aiuti anche a vedere i tesori nascosti nel nostro inconscio, per poi risalire.  E poi ancora scendere, e poi risalire, e così ancora.  Così come le fiabe incarnano dei processi psichici, i riti collettivi aiutano a creare un contenitore per questi processi. Tutto sommato è per questo che la festa dei morti è un rito collettivo che accomuna tutte le culture del mondo.

                                                                                                         

                              Dott.ssa Martina Testa 

                              Psicologa Psicoterapeuta

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